mercoledì 12 novembre 2008

Le bambine invisibili

Vittoria Savio, maestra in pensione racconta....
Visitando una Comunità"Quechua" situata sulle "Ande" a 3.500 m. sul livello del 
mare ha conosciuto la triste storia che vivono le bambine di queste povere famiglie, che
 vivono in questa Zona, quasi dimenticata dagli 
uomini. Le mamme che incontrano difficoltà per le proprie figlie di garantire una condizione di vita per sopravvivere, affidano  le proprie figlie a un "padrino", o a una "madrina"(persone che credono per bene e con un tenore di vita buono: (come insegnanti, poliziotti, ingegneri), con la promessa di farle studiare in città, in cambio di un aiuto domestico. Andare in città con una madrina era quindi una buona occasione, perché le loro bambine riuscissero a sfuggire al destino di miseria e di fame che l'attendevano, rimanendo in famiglia. Studiare, leggere e scrivere  la lingua spagnola, essere ben vestite, rispettate  era il sogno di ogni mamma. Si aspettavano che, dopo alcuni anni la ragazzina sarebbe tornata a visitare la sua famiglia carica di regali. Invece svanivano nel nulla. In realtà i  
"padrini" e le"madrine" invece di mandare le "figliocce" a scuola, in molti casi le obbligavano a rimanere chiuse in  casa, o in casa di parenti e conoscenti, obbligandole a cucinare, lavare lenzuola per famiglie numerose. Della scuola non se ne parlava assolutamente, facendo sparire i propri documenti e spesso le loro tracce. Arrivai  a  "Cusco", la orgogliosa capitale dell'Impero "Incas", mi resi conto delle condizioni in cui vivevano. Erano soggette  ad ogni tipo di abuso. "Come era possibile che queste bambine si perdess
ero nel nulla?" "Come è possibile che non potessero  parlare con nessuno dei maltrattamenti a cui erano sottoposte e con l'aiuto delle autorità potessero ritrovare la loro famiglia?". Di fatto le bambine avevano spesso solo una vaga conoscenza della Zona in cui erano nate e cresciute: Si ricordavano solo della provincia che si estende per migliaia di km. Anche se il loro caso arrivava a qualche Ufficio Pubblico , non potevano
 sopportare i costi per la ricerca della loro famiglia in uno spazio così grande. Quindi preferivano munirle di un nuovo documento di identità, magari con il nome di 
una attrice famosa. Così se ne andavano con le loro trecce nere e un vestito sdrucito a cercare fortuna come pastorelle in mezzo agli altopiani sconfinati delle "Ande", o come domestiche nella prima città della valle, definitivamente tagliate fuori dalle loro famiglie di origine.  Gli organismi internazionali hanno scarsi mezzi per combattere  questa mentalità diffusa fra i "meticci" delle città "andine". Per loro è "normale" utilizzare le bambine "indie", come lavoratrici domestiche a tempo pieno , privandole della libertà, della famiglia, dell'istruzione. Maltrattate, abusate sessualmente e abbandonate alla fine in mezzo alla strada con un bambino in braccio e un futuro difficile. In questo modo sono obbligate a restare per sempre "invisibili" 
"Rosa: Una Storia emblematica. 
Un fratello maggiore affidò sua sorella; Rosa, a un proprietari terriero, come domestica, quando aveva 6 anni, senza più curarsi di lei, come aveva già fatto con altre 3 sorelle, in cambio di un gruzzolo 
di denaro. Nella piantagione di caffè, dove era stata confinata, è cresciuta in condizioni di semi-schiavitù, mangiando per terra , cucinando pentoloni più grandi di lei per i "peones". Fin dai 7 anni ha cominciato a subire ogni sorta di violenza fisica e psicologica da parte del "padrone" e dei "peones". All'età di 18 anni decise di fuggire. Apettò la notte, per scappare su un camion di frutta. In mezzo a banane e sacchi di "ananàs"incontrò
 una persona che che, dopo mille peripezie la mise in contatto con il "CAITH" ( Centro di Apoyo Integral a las Trabajadoras de Hogar): una casa-famiglia per aiutare le ragazze"invisibili" ad uscire dal loro isolamento e realizzarsi come persone. Rosa ha vissuto lì per 2 anni , lavorando e  imparando a gestire una "Piccola comunità". Con l'aiuto del
 "CAITH" ha ritrovato la mamma: una povera donna distrutta dalla miseria dell'alcol. La sua famiglia non c'era più. La vera famiglia di Rosa ora è il "CAITH", suo punto principale affettivo e sociale.  Qui Rosa ha imparato a sorridere, ma ancora un nodo di rancori da sciogliere. Ma l'affetto e la cura delle educatrici del "CAITH" potrebbero aiutarla a rimarginare un poco per volta le sue ferite ancora sanguinanti.

Bujarì Acre 12 novembre 2008



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