giovedì 27 agosto 2009

EMIGRANTI IN TERRA STRANIERA

Leggendo la notizia del naufragio di emigranti che sono morti davanti al rifiuto di soccorso davanti alla
morte che hanno incontrato, è il medesimo modo
di agire per difendere il proprio bene, combattendo con tutti i mezzi, anche provocando la morte per l’ invasore. Per me è come una guerra, simile a quelle che si combattono fra popolo e popolo, nazione contro nazione. In mare davanti a naufraghi non esiste nessuna legge di “guerra”.

Nessun governo è autorizzato emanare leggi contro la vita di persone inermi che stanno in pericolo di vita. Esiste una legge del mare, è ben più antica di quella codificata dai trattati. E questa legge ordina: “In mare si soccorre!”. Poi a terra saranno usate altre leggi: come il diritto di asilo, accoglienza, respingimento verso i paesi di origine. Ma la si salva! Tutti si commuovono davanti a una persona che sta per morire, e non si accaniscono contro di lei. Questo si fa anche davanti a un animale ferito che incontriamo sulle nostre strade. Invece quella barca “vuota”, come un relitto alle soglie delle nostre acque, è un esempio, come quello di altri naufraghi, che sono scomparsi in mare senza avere avuto la sorte di essere soccorsi. Oggi si rispetta rigorosamente una nuova legge del mare:
“Non fermarsi...Tirare dritto!..È la nuova legge: “Chiudere gli occhi!”
Mi sembra di vivere gli stessi momenti di vita come al tempo delle deportazione naziste. In quel tempo era possibile che nessuno vedeva, o sentiva le voci le grida e i lamenti dei deportati, perché era il totalitarismo e il terrore a far chiudere gli occhi. Oggi è una quieta e rassegnata indifferenza,
se non anche una infastidita avversione razziale.Di fronte a queste stragi di immigrati, non possiamo rimanere indifferenti. Le autorità , i governi si impegnino a far cessare questo traffico di “nuovi schiavi” che vengono venduti per lavorare sotto nuovi padroni, in cambio della possibilità di sopravvivere a una condizione di rischio di morte per fame.

Per quanto tempo, negli anni passati, emigranti stagionali entravano nel nostro paese, invitati da grande industrie alimentari, per un lavoro da schiavi, lavorando in condizioni igieniche molto difficili. Eppure in quegli anni nessuno vedeva,nessuno sentiva, ma tutti erano concordi ad accogliere questi “lavoratori”. Oggi cominciano a dar fastidio, perché reclamano rispetto dei diritti fondamentali dellapersona umana. Ma dobbiamo ricordarci tutti noi,che anche i nostri bisnonni e i nostri nonni sono stati emigranti in terra straniera. Forse alcuni di noi ancora portano nel cuorei segni di una emigrazione vissuta e sofferta, per portare a casa il pane per saziare la fame dei propri figli. Forse per l’avidità di guadagnare e possedere sempre di più, oggi non vogliamo ricordare il tempo della nostra vita passata, che potrebbe insegnarci a vivere in una società dove la solidarietà e la giustizia riuniscono tutti come fratelli e figli della stessa terra, che è madre di tutti gli uomini, che ci è stata regalata da un Dio che è l’origine e il fine della nostra esistenza.

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